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Analfabetismo di ritorno: parliamone

Cos’è l’analfabetismo di ritorno

Nel 2019 un’indagine della Fondazione Feltrinelli ha evidenziato una percentuale allarmante di analfabeti di ritorno in Italia: ben il 30%.

Gli analfabeti di ritorno sono quelle persone che, se pur siano state scolarizzate, col tempo, perdono le competenze acquisite evidenziando, di fatto, difficoltà nella lettura e scrittura. Ciò avviene, principalmente, per il mancato esercizio di quelle stesse competenze alfanumeriche, apprese e lasciate lì in un angolo, negli anni, senza attenzioni né cure. Ne ha approfonditamente trattato il famoso linguista e, per un certo periodo anche Ministro dell’Istruzione (2000/2001), Tullio De Mauro. Egli spiega, con la sua regola del -5, il pericolo incombente: “data la natura selettiva della nostra memoria, si constata che in età adulta tendiamo a regredire di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti durante gli studi a meno che, ed è fondamentale, non continuiamo a esercitare quella competenza. Per esempio, nell’ ultimo anno di liceo ci siamo inoltrati in argomenti non elementari di matematica ma, se non diventiamo bancari, geometri o ingegneri, la nostra matematica adulta si rattrappisce e, se va bene, torna ai livelli della terza media. Così avviene per ogni altro campo. Se non leggiamo libri o romanzi, di tutta la storia studiata restano brandelli sospesi nel vuoto: Pirro re dell’ Epiro, Stlicone, trattato di Campoformio“.

I dati sul fenomeno dell’analfabetismo di ritorno

Come evidenziato, il 30% degli italiani fra i 25 e i 65 anni ha significative limitazioni nella comprensione della lettura, nella scrittura e nel calcolo. Ciò inficia, di fatto, la buona comunicazione. Anche in confronto agli altri Paesi dell’ Ocse, la situazione emerge in tutta la sua drammaticità: peggio dell’Italia fanno solo Cile e Turchia. Dicevamo del deficit comunicativo che ne consegue, vediamo più nel dettaglio. Un analfabeta funzionale è, di fatto, una persona socialmente non integrata, quasi esclusa; manca di autonomia ma è piena di insicurezze. È altresì scarsamente partecipe al processo democratico e pericolosamente esposto alla criminalità. Il triste fenomeno dell’analfabetismo di ritorno ha, infine, un notevole peso economico poiché fortemente correlato a una manchevole spinta all’innovazione e, ergo, a una scarsa produttività. Ne è prova la considerevole percentuale Neet*, persone – cioè – che non studiano, non lavorano, non sono protagonisti di processi di formazione.

La strada davanti

Sembra difficile districarsi in questo labirinto di difficoltà, soprattutto se consideriamo le precarietà derivate dalla DAD in cui pare che la parola d’ordine sia stata “sottrarre” piuttosto che “ragioniamo insieme su come trovare le soluzioni”. La luce in fondo al tunnel è sempre stata e in eterno rimane una: mai smettere di incuriosirsi, di esplorare. Che sia un libro, un corso (anche di lingua!), un buon hobby, un uso intelligente dei social, una predilezione perenne alla conversazione e al confronto intelligente. È evidente che un buon governo deve fare la sua parte, puntando sull’Istruzione, investendo, ampliando. L’educazione permanente, che ne è la chiave, deve diventare la parola d’ordine di ogni società.

 

*Oggi si calcolano circa due milioni di Neet ( Not in education, employment or trainingin) in Italia: più donne che uomini, più nel meridione che al Nord.

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